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Una vostra opinione su Diritto e Tecnologia (L–14)

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  • Una vostra opinione su Diritto e Tecnologia (L–14)

    Salve a tutti.

    Mi sarebbe utile leggere qualche vostra opinione, da chi è più addentro di me in questo mondo, su questa nuova laurea triennale giuridica (ma per certi versi anche multidisciplinare) che sta man mano aprendo i battenti in diversi atenei (Padova, Messina, Campobasso). Vorrei sapere se trattasi di un buon titolo spendibile ai fini lavorativi, anche in ambito privato. Vi lascio in allegato il link con il relativo piano di studio:

    https://www2.dipgiuridico.unimol.it/...e-e-sicurezza/

    Grazie :-)

  • #2
    Ciao.

    In teoria la L-14 dovrebbe servire a formare giuristi d'impresa. Nei fatti solo le medie e grandi imprese hanno bisogno di (e si possono permettere) di giuristi d'impresa e in pressoché la totalità dei casi li cercano abilitati alla professione di avvocato. Per quale motivo, viso che per legge non potranno esercitarla, neanche a favore del proprio datore di lavoro, una volta che saranno assunti? Perché in Italia non c'è una cultura giuridica slegata dal contenzioso. L'attività principale dei giuristi d'impresa è occuparsi di contenzioso facendo i passacarte degli avvocati del libero foro per la rappresentanza in giudizio. In grosse imprese come Anas Spa sono pagati meno dei loro colleghi ingegneri (gli avvocati sono inquadrati come gli impiegati amministrativi, fascia B, mentre gli ingegneri come quadri, fascia A). L'Associazione italiana giuristi di impresa ammette come soci solo i laureati in Giurisprudenza del vecchio ordinamento (corsi quadriennali) e dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico quinquennali del nuovo, il che la dice lunga sulla considerazione di cui godono in questo paese i laureati L-14.
    BA Media & journalism BS Administration MPA Management & e-governance MBA General management LLM Law MA Political science MA Business and public communication PhD candidate

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    • #3
      Originariamente inviato da dottore Visualizza il messaggio
      Ciao.

      In teoria la L-14 dovrebbe servire a formare giuristi d'impresa. Nei fatti solo le medie e grandi imprese hanno bisogno di (e si possono permettere) di giuristi d'impresa e in pressoché la totalità dei casi li cercano abilitati alla professione di avvocato. Per quale motivo, viso che per legge non potranno esercitarla, neanche a favore del proprio datore di lavoro, una volta che saranno assunti? Perché in Italia non c'è una cultura giuridica slegata dal contenzioso. L'attività principale dei giuristi d'impresa è occuparsi di contenzioso facendo i passacarte degli avvocati del libero foro per la rappresentanza in giudizio. In grosse imprese come Anas Spa sono pagati meno dei loro colleghi ingegneri (gli avvocati sono inquadrati come gli impiegati amministrativi, fascia B, mentre gli ingegneri come quadri, fascia A). L'Associazione italiana giuristi di impresa ammette come soci solo i laureati in Giurisprudenza del vecchio ordinamento (corsi quadriennali) e dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico quinquennali del nuovo, il che la dice lunga sulla considerazione di cui godono in questo paese i laureati L-14.
      Grazie per la risposta.

      Ne approfitto per chiederti un'ulteriore opinione.
      Presso l'Università del Sannio, partirà a breve (è in corso di accreditamento) il nuovo corso di laurea in scienze dell'amministrazione digitale (L–16). Reputi che questa laurea possa essere realmente utile, sempre ai fini di un buon impiego lavorativo?

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      • #4
        Caro Rollercoaster_7,

        a distanza di oltre 15 anni dal codice dell'amministrazione digitale, emanato con il decreto legislativo numero 82 del 2005, quest'anno sta scoppiando la moda di aggiungere l'aggettivo "digitale" alla parola "amministrazione" nelle denominazioni dei corsi di laurea di classe L-16. Aveva iniziato l'Università di Torino già diversi anni fa (e il corso è erogato a distanza), ma quest'anno ci sarà proprio un boom.
        Detti corsi normalmente si differenziano da quelli in Scienze dell'amministrazione per così dire "non" digitale per un nonnulla, anzi ti dirò che già diversi anni fa, forse una decina se non di più, il corso di laurea di classe L-16 della Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza, pur chiamandosi «Scienze dell'amministrazione e dell'organizzazione» contemplava due insegnamenti obbligatorî in materia, Diritto dell'amministrazione digitale (settore IUS/10, Diritto amministrativo) e Scienza dell'amministrazione digitale (settore SPS/04, Scienza politica). Del resto Unitelma Sapienza, che prima si chiamava Università telematica per il management e l'audiovisivo, è nata offrendo, quale unico ateneo in Italia, un corso di laurea della vecchia classe 31 (Scienze giuridiche) orientato proprio alla digitalizzazione, è stata una pioniera in materia. Nel gennaio di quest'anno ha anche attivato un dipartimento dedicato, denominato Diritto e società digitale, primo in Italia. Se Uninettuno può essere considerata senza timore di smentita l'antesignana delle sperimentazioni sulle nuove metodologie e tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento, Unitelma Sapienza è certamente uno dei primi atenei in Italia ad avere introdotto la digitalizzazione della PA come materia di studio, grazie professor Donato Antonio Limone (che è stato anche relatore della mia tesi lì).

        Tutto il papello (peraltro tagliato) di cui sopra per dire che alla fine che il corso si chiami Scienze dell'amministrazione digitale o Scienze dell'amministrazione tout court o perfino Scienze dell'amministrazione e della sicurezza, quando non ovviamente Scienze dell'amministrazione e dell'organizzazione come la classe, oltre a non cambiare nulla sotto il profilo del valore legale poco potrebbe cambiare anche sul piano sostanziale, posto che la denominazione spesso è studiata per ragioni di marketing (attrarre matricole) senza necessariamente riflettere il reale orientamento del corso. E infatti analizzando i piani di studio dei corsi L-16 si notano le solite differenze, cioè principalmente il diverso equilibrio tra settori IUS (scienze giuridiche), SECS (scienze economiche, commerciali e statistiche) e SPS (scienze politiche e sociali) e l'eventuale compresenza di altre materie, ma corsi interamente caratterizzati per l'orientamento alla digitalizzazione, onestamente, non ne vedo e non è detto che coloro che lo riportino nel nome lo siano di più di tutti gli altri.

        Ora, mettiamola così. Se tu sei interessato a una carriera nel settore privato, dovresti stare il più lontano possibile da corsi del genere (AlmaLaurea dice che i laureati L-16 lavorano perlopiù nel privato, ma se leggi le note metodologiche ti accorgerai che non tiene conto né di coloro che hanno dichiarato di voler proseguire gli studi né di coloro che per qualsiasi ragione dichiarino di non cercare lavoro, ivi compresi quelli che proseguono il lavoro che svolgevano prima di iniziare gli studi, che nelle classi di area sociale costituiscono una quota assai rilevante del totale degli iscritti).
        Se invece sei interessato al pubblico, L-14 e L-16 (con la precisazione che una vale l'altra e dunque puoi scegliere liberamente in funzione del maggiore interesse per i piani di studio ovvero su basi economiche, logistiche, organizzative o di qualsiasi fattore tu ritenga rilevante) sono perfette, con un piatto della bilancia che propende leggermente a favore della L-16, visto che solitamente la L-14 è richiesta per i soli profili giuridici e amministrativi dell'area dei funzionarî, mentre la L-16 si trova anche per quelli economico-finanziari e contabili.

        Quanti anni hai? Lavori? Che diploma di scuola secondaria di secondo grado hai? Hai mai avuto esperienze universitarie?
        BA Media & journalism BS Administration MPA Management & e-governance MBA General management LLM Law MA Political science MA Business and public communication PhD candidate

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        • #5
          Originariamente inviato da dottore Visualizza il messaggio
          Caro Rollercoaster_7,

          a distanza di oltre 15 anni dal codice dell'amministrazione digitale, emanato con il decreto legislativo numero 82 del 2005, quest'anno sta scoppiando la moda di aggiungere l'aggettivo "digitale" alla parola "amministrazione" nelle denominazioni dei corsi di laurea di classe L-16. Aveva iniziato l'Università di Torino già diversi anni fa (e il corso è erogato a distanza), ma quest'anno ci sarà proprio un boom.
          Detti corsi normalmente si differenziano da quelli in Scienze dell'amministrazione per così dire "non" digitale per un nonnulla, anzi ti dirò che già diversi anni fa, forse una decina se non di più, il corso di laurea di classe L-16 della Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza, pur chiamandosi «Scienze dell'amministrazione e dell'organizzazione» contemplava due insegnamenti obbligatorî in materia, Diritto dell'amministrazione digitale (settore IUS/10, Diritto amministrativo) e Scienza dell'amministrazione digitale (settore SPS/04, Scienza politica). Del resto Unitelma Sapienza, che prima si chiamava Università telematica per il management e l'audiovisivo, è nata offrendo, quale unico ateneo in Italia, un corso di laurea della vecchia classe 31 (Scienze giuridiche) orientato proprio alla digitalizzazione, è stata una pioniera in materia. Nel gennaio di quest'anno ha anche attivato un dipartimento dedicato, denominato Diritto e società digitale, primo in Italia. Se Uninettuno può essere considerata senza timore di smentita l'antesignana delle sperimentazioni sulle nuove metodologie e tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento, Unitelma Sapienza è certamente uno dei primi atenei in Italia ad avere introdotto la digitalizzazione della PA come materia di studio, grazie professor Donato Antonio Limone (che è stato anche relatore della mia tesi lì).

          Tutto il papello (peraltro tagliato) di cui sopra per dire che alla fine che il corso si chiami Scienze dell'amministrazione digitale o Scienze dell'amministrazione tout court o perfino Scienze dell'amministrazione e della sicurezza, quando non ovviamente Scienze dell'amministrazione e dell'organizzazione come la classe, oltre a non cambiare nulla sotto il profilo del valore legale poco potrebbe cambiare anche sul piano sostanziale, posto che la denominazione spesso è studiata per ragioni di marketing (attrarre matricole) senza necessariamente riflettere il reale orientamento del corso. E infatti analizzando i piani di studio dei corsi L-16 si notano le solite differenze, cioè principalmente il diverso equilibrio tra settori IUS (scienze giuridiche), SECS (scienze economiche, commerciali e statistiche) e SPS (scienze politiche e sociali) e l'eventuale compresenza di altre materie, ma corsi interamente caratterizzati per l'orientamento alla digitalizzazione, onestamente, non ne vedo e non è detto che coloro che lo riportino nel nome lo siano di più di tutti gli altri.

          Ora, mettiamola così. Se tu sei interessato a una carriera nel settore privato, dovresti stare il più lontano possibile da corsi del genere (AlmaLaurea dice che i laureati L-16 lavorano perlopiù nel privato, ma se leggi le note metodologiche ti accorgerai che non tiene conto né di coloro che hanno dichiarato di voler proseguire gli studi né di coloro che per qualsiasi ragione dichiarino di non cercare lavoro, ivi compresi quelli che proseguono il lavoro che svolgevano prima di iniziare gli studi, che nelle classi di area sociale costituiscono una quota assai rilevante del totale degli iscritti).
          Se invece sei interessato al pubblico, L-14 e L-16 (con la precisazione che una vale l'altra e dunque puoi scegliere liberamente in funzione del maggiore interesse per i piani di studio ovvero su basi economiche, logistiche, organizzative o di qualsiasi fattore tu ritenga rilevante) sono perfette, con un piatto della bilancia che propende leggermente a favore della L-16, visto che solitamente la L-14 è richiesta per i soli profili giuridici e amministrativi dell'area dei funzionarî, mentre la L-16 si trova anche per quelli economico-finanziari e contabili.

          Quanti anni hai? Lavori? Che diploma di scuola secondaria di secondo grado hai? Hai mai avuto esperienze universitarie?
          Dottore, ti ringrazio per la risposta più che esauriente.

          Ho 24 anni. Attualmente, io non sto lavorando, ed è anche e forse soprattutto per questo che vorrei intraprendere un CdS universitario. Avrei voluto cominciare a frequentare l'università già anni addietro, tuttavia, per una serie di motivazioni che non sto qui a menzionare, non ho potuto concretizzare questa mia volontà. Ora vorrei farlo, per avere una fonte di riscatto e di soddisfazioni, oltre che per colmare il mio tempo libero e per investirmi di nuove conoscenze.
          Provengo da una scuola secondaria ad indirizzo economico ("ragioneria" o simili tale, conclusa con non poco sacrificio), tuttavia le mie conoscenze matematiche, ahimè, sono sempre state scarsissime e di sicuro non idonee per poter affrontare un corso di studi puramente economico o STEM. Né sono interessato a CdS umanistici. La disciplina giuridica, in verità, non mi dispiacerebbe affatto, ma considero parzialmente anacronistica (vedasi lo studio del Diritto Medievale, tanto per fare un esempio) l'attuale magistrale a ciclo unico di Giurisprudenza, ed oltretutto di avvocati a spasso ce ne sono fin troppi. Quindi vorrei sì frequentare un corso di studi giuridico, ma che sia in qualche modo meglio collegato con la realtà odierna, anche del mondo del lavoro, ed è per questo che "Diritto e Tecnologia", di cui l'UniPd è stata pioniere in Italia, ha catalizzato la mia attenzione. M'interessa l'aspetto multidisciplinare che non si limita al solo campo giuridico, ma che ingloba anche l'economia ed il settore digitale e tecnologico (almeno parrebbe così a leggere il piano di studio). Non sono ancora sicuro al 100% di cosa fare, così ho chiesto un aiuto al forum per chiarirmi meglio le idee.

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          • #6
            Carissimo @Rollercoaster_7,

            hai ragione ma dobbiamo essere realisti.

            Personalmente in tanti anni non ho mai visto un solo privato chiedere conto a un candidato in possesso di laurea degli esami da lui sostenuti. Talvolta le imprese più strutturate chiedono un certificato di laurea per verificare che il titolo sia stato effettivamente conseguito, e non credo che lo vogliano con esami (anche perché lo chiedono al momento di perfezionare l'assunzione e, cioè, a valle del processo di reclutamento). Non ho mai sentito invece qualcuno che entrasse nel merito del piano di studi, anche perché se così fosse non si spiegherebbero i pregiudizi negativi su alcuni corsi e quelli positivi su altri.
            Quindi se vogliamo essere realisti dobbiamo conciliare i nostri interessi con la spendibilità concreta del titolo, altrimenti facciamo come don Quijote de la Mancha (malamente italianizzato in don Chisciotte della Mancia), il personaggio di Miguel de Cervantes Saavedra che combatteva contro i mulini a vento. L'attuale magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza, molto simile in tutte le sedi in cui sia attiva, effettivamente offre una formazione piuttosto statica (in realtà non è certamente il diritto medievale, peraltro non particolarmente approfondito, il problema, ma sorvoliamo), tuttavia è l'unica formazione giuridica riconosciuta dalle imprese come tale, cioè se ti presenti con una laurea L-14 il privato non ti riconosce come un giurista; c'è poco da fare. Anzi, le grandi imprese di cui ti parlavo sopra ti vogliono perfino abilitato alla professione di avvocato, con esperienza in contenzioso di loro interesse, anche se sanno che non potrai mantenere l'eventuale iscrizione all'albo né esercitare la professione se vai a lavorare alle loro dipendenze.
            Nel privato il valore legale non conta, ma il problema è che il privato non conosce gli ordinamenti universitari ed è rassicurato da quegli studi che percepisce come più vicini a quelli tradizionali. Anche il connubio tra L-14 e LM-SC/GIUR non è molto rassicurante poiché alla fin fine è proprio l'abilitazione alla professione di avvocato, o la possibilità di conseguirla, che esercita una certa attrazione, una specie di fascino irresistibile. Ecco perché noi sul forum abbiamo consigliato a chi ha una L-14 e non vuole virare su studi economici o statistici di proseguire gli studi con una laurea magistrale in Giurisprudenza (di solito viene iscritto al quarto anno). Personalmente consiglio sempre il percorso spezzato perché dopo 3 anni si può avere un pezzo di carta in mano e averlo è sempre meglio che non, ma la L-14 attualmente risulta spendibile solo nel pubblico (ove ovviamente a maggior ragione conta unicamente il valore legale), comunque non più della L-16 e della L-36.

            l'attuale magistrale a ciclo unico di Giurisprudenza, ed oltretutto di avvocati a spasso ce ne sono fin troppi.
            Ma Giurisprudenza non serve solo per fare l'avvocato. E neanche il notaio o il magistrato. Giurisprudenza serve per fare anche tante altre cose. Il commissario di Polizia di Stato, ad esempio, da quest'anno si può fare solo con la Giurisprudenza (hanno tolto la LM-62 e la LM-63). Comunque il problema come detto non è il pubblico, in cui tra studi giuridici, economici, aziendali e politologici più o meno si fanno le stesse cose. Il problema è il privato, per il quale la L-14 nemmeno esiste e, paradossalmente, è meno considerata della L-36. Triste verità. Poi, per l'amor di Dio, le cose potrebbero gradualmente cambiare, ma io mi sento di dirti questo alla luce della situazione attuale: non conosco laureati L-14 che siano riusciti a fare qualcosa solo con essa senza proseguire gli studi. A meno che non si tratti della libera professione di consulente del lavoro (che però richiede una formazione assai più tradizionale rispetto a quella che senti nelle tue corde) o di mestieri, attività o professioni emergenti o per le quali solo recentemente si comincia a delineare una formazione specialistica (e.g. il tributarista, oppure il procuratore sportivo). Non mi sento francamente di consigliarti nemmeno la conciliazione, la mediazione e l'arbitrato, perché la concorrenza è peggio che nella professione forense (anche perché di ADR si occupano anche gli stessi avvocati).

            Tieni presente che in molti corsi di laurea L-18 e L-33 non troveresti più matematica di quanta ne se ne trova su Scienze politiche e Scienze dell'amministrazione. Nel corso di laurea di classe L-18 (Scienze dell'economia e della gestione aziendale) in Marketing e comunicazione d'azienda dell'Università di Urbino "Carlo Bo" ne trovi pure meno che nei corsi di laurea in Sociologia. Anche se non ho compreso quale sia il tuo orizzonte spaziale.
            Ultima modifica di dottore; 12-08-2023, 07:35.
            BA Media & journalism BS Administration MPA Management & e-governance MBA General management LLM Law MA Political science MA Business and public communication PhD candidate

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            • #7
              Personalmente in tanti anni non ho mai visto un solo privato chiedere conto a un candidato in possesso di laurea degli esami da lui sostenuti. Talvolta le imprese più strutturate chiedono un certificato di laurea per verificare che il titolo sia stato effettivamente conseguito, e non credo che lo vogliano con esami (anche perché lo chiedono al momento di perfezionare l'assunzione e, cioè, a valle del processo di reclutamento). Non ho mai sentito invece qualcuno che entrasse nel merito del piano di studi, anche perché se così fosse non si spiegherebbero i pregiudizi negativi su alcuni corsi e quelli positivi su altri.
              Giusta osservazione, che è poi una constatazione. Grazie per la delucidazione, Dottore.


              L'attuale magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza, molto simile in tutte le sedi in cui sia attiva, effettivamente offre una formazione piuttosto statica (in realtà non è certamente il diritto medievale, peraltro non particolarmente approfondito, il problema, ma sorvoliamo)
              Un altro esempio potrebbe essere fatto con Diritto romano, ad esso forse sono riservate non poche ore di lezione, probabilmente too much in un corso, come quello di Giurisprudenza, che, a mio modesto parere, dovrebbe stare di più al passo con i cambiamenti che avvengono in seno alla società. Ma parlo da profano delle scienze giuridiche e può darsi che io sia uno zoticone e che, in realtà, lo studio approfondito del Diritto romano, approfondito a discapito di qualcosa di più contemporaneo, sia cosa buona e giusta. Invece ho trovato francamente assurdo che in alcuni atenei si studi ancora il Diritto ecclesiastico.





              tuttavia è l'unica formazione giuridica riconosciuta dalle imprese come tale, cioè se ti presenti con una laurea L-14 il privato non ti riconosce come un giurista; c'è poco da fare. Anzi, le grandi imprese di cui ti parlavo sopra ti vogliono perfino abilitato alla professione di avvocato, con esperienza in contenzioso di loro interesse, anche se sanno che non potrai mantenere l'eventuale iscrizione all'albo né esercitare la professione se vai a lavorare alle loro dipendenze.
              ​​​​​​Probabilmente questo è causato da quanto menzionato da te in precedenza: in Italia non vi è una cultura giuridica slegata dal contenzioso. D'altra parte, in un Paese che conta circa 240.000 avvocati...



              Nel privato il valore legale non conta, ma il problema è che il privato non conosce gli ordinamenti universitari ed è rassicurato da quegli studi che percepisce come più vicini a quelli tradizionali. Anche il connubio tra L-14 e LM-SC/GIUR non è molto rassicurante poiché alla fin fine è proprio l'abilitazione alla professione di avvocato, o la possibilità di conseguirla, che esercita una certa attrazione, una specie di fascino irresistibile.
              Capisco. In effetti, neanche a me questo connubio convince. Piuttosto, meglio un connubio tra L-14 e LM-63.

              Ecco perché noi sul forum abbiamo consigliato a chi ha una L-14 e non vuole virare su studi economici o statistici di proseguire gli studi con una laurea magistrale in Giurisprudenza (di solito viene iscritto al quarto anno). Personalmente consiglio sempre il percorso spezzato perché dopo 3 anni si può avere un pezzo di carta in mano e averlo è sempre meglio che non, ma la L-14 attualmente risulta spendibile solo nel pubblico (ove ovviamente a maggior ragione conta unicamente il valore legale), comunque non più della L-16 e della L-36.
              Dopo aver concluso la L-14, vorrei puntare principalmente su qualche concorso pubblico (P.A.). Una volta definita la mia posizione lavorativa, proseguire con una laurea magistrale, o, come hai scritto tu, iscriversi agli ultimi due anni del ciclo unico di Giurisprudenza. Ma meglio soffermarsi sul presente. Ho letto da qualche parte che, a breve, dovrebbe rientrare in regime il blocco delle assunzioni circa la Pubblica Amministrazione. Non so quale sarà la situazione tra qualche anno, ma poco importa giacché suppongo che vi sarà sempre qualche concorso in una qualche parte d'Italia.


              Ma Giurisprudenza non serve solo per fare l'avvocato. E neanche il notaio o il magistrato. Giurisprudenza serve per fare anche tante altre cose. Il commissario di Polizia di Stato, ad esempio, da quest'anno si può fare solo con la Giurisprudenza (hanno tolto la LM-62 e la LM-63).
              Non sono particolarmente interessato a far carriera nelle FdO.


              Comunque il problema come detto non è il pubblico, in cui tra studi giuridici, economici, aziendali e politologici più o meno si fanno le stesse cose. Il problema è il privato, per il quale la L-14 nemmeno esiste e, paradossalmente, è meno considerata della L-36. Triste verità. Poi, per l'amor di Dio, le cose potrebbero gradualmente cambiare, ma io mi sento di dirti questo alla luce della situazione attuale: non conosco laureati L-14 che siano riusciti a fare qualcosa solo con essa senza proseguire gli studi. A meno che non si tratti della libera professione di consulente del lavoro (che però richiede una formazione assai più tradizionale rispetto a quella che senti nelle tue corde) o di mestieri, attività o professioni emergenti o per le quali solo recentemente si comincia a delineare una formazione specialistica (e.g. il tributarista, oppure il procuratore sportivo). Non mi sento francamente di consigliarti nemmeno la conciliazione, la mediazione e l'arbitrato, perché la concorrenza è peggio che nella professione forense (anche perché di ADR si occupano anche gli stessi avvocati).
              Mi è tutto chiaro e ti ringrazio. Dunque la L-14 è un'ottima laurea per divenire un pubblico funzionario, il che mi andrebbe bene.

              Scienze politiche è una laurea vergognosamente bistrattata, e non ne capisco il motivo. In Francia, al contrario, è una laurea ben considerata. Sarà perché i francesi, per motivi storici, sanno meglio di altri che cosa vuol dire amministrare per bene l'État.

              Tieni presente che in molti corsi di laurea L-18 e L-33 non troveresti più matematica di quanta ne se ne trova su Scienze politiche e Scienze dell'amministrazione. Nel corso di laurea di classe L-18 (Scienze dell'economia e della gestione aziendale) in Marketing e comunicazione d'azienda dell'Università di Urbino "Carlo Bo" ne trovi pure meno che nei corsi di laurea in Sociologia. Anche se non ho compreso quale sia il tuo orizzonte spaziale.
              ​​​​​​
              Sì, ho verificato che molti corsi di studio L-16 e L-36 inglobano anche Statistica, che però io, non essendo niente affatto avvezzo alla matematica, personalmente eviterei.

              Ho analizzato un po' i piani di studi ed il contenuto dei singoli corsi erogati all'interno del più generale CdL.
              Vivo in Terra di Lavoro. Ho già scartato la Federico II, che per quanto abbia una lunga e straordinaria tradizione giuridica, nondimeno mi dicono che sia in una fase di declino e che sopravvive nell'immaginario collettivo quale università d'eccellenza soprattutto grazie ai fasti di un tempo.
              La Vanvitelli non mi attrae particolarmente, ivi inclusa proprio l'offerta didattica. In UniCas vi è una L-14 con un curriculum dedicato alla Pubblica Amministrazione. Interessante. Infine, l'UniMol propone da quest'anno una L-14 focalizzata sull'interazione tra le scienze giuridiche e le nuove tecnologie digitali. In un'era di massiccia digitalizzazione, che investe anche e non solo la Pubblica Amministrazione, direi che è un percorso di studi piuttosto intelligente.
              Mi riserverò ancora qualche giorno per decidere.

              ​​
              Ultima modifica di dottore; 12-08-2023, 07:36.

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              • #8
                Originariamente inviato da Rollercoaster_7 Visualizza il messaggio
                Un altro esempio potrebbe essere fatto con Diritto romano, ad esso forse sono riservate non poche ore di lezione, probabilmente too much in un corso
                Lo studio del diritto romano è indispensabile per comprendere come si è arrivati alla biforcazione tra civil law (diritto positivo continentale) e common law (diritto consuetudinario anglosassone), il che è indispensabile se si vuole operare in contesti internazionali. La tabella di classe riserva 28 crediti (è in crediti che si misura il peso, non in ore di lezione, in quanto il credito indica 25 ore complessive tra didattica erogativa e studio indivduale) alle discipline storico-giuridiche, che includono quelle romanistiche, tra le attività di base, attribuendo cioè ad esse la stessa importanza del diritto pubblico generale (àmbito costituzionalistico), dopodiché si può discutere del bilanciamento tra i due settori (IUS/18 e IUS/19), che in parte peraltro è vincolato dalla tabella (12 devono essere nel periodo di c.d. formazione iniziale comune con rappresentatività in parti uguali dei due settori, sicché in realtà abbiamo 6 crediti IUS/18, 6 crediti IUS/19 e 6 crediti nell'uno o nell'altro settore) e per il resto spesso è purtroppo dettato maggiormente dalle esigenze del personale docente che dagli interessi dello studente, ma esami come Istituzioni di diritto romano, Diritto romano e Diritto privato romano sono tutt'altro che inutili, così come non lo sono esami come Storia delle costituzioni moderne (che hanno anche profili comparatistici). Certo che se poi al posto di Istituzioni l'università ti obbliga a seguire un insegnamento da 9 crediti in chiave esclusivamente storica, allora si tratta di esami non perfettamente pertinenti ai fini della formazione del giurista e hai ragione tu. Io pure su Scienze della politica ho dato Storia della giustizia, che è un esame che viene fatto rientrare nel settore IUS/19 ma che in realtà ha un programma di notevole maggior interesse per il politologo che per il giurista, poiché tratta la storia sociale del fenomeno giudiziario e dei suoi protagonisti (con particolare riguardo al Regno di Napoli, nel programma proposto dal m io docente) lungo l'arco della storia medievale e moderna, fornendo una chiave di lettura interessantissima rispetto alle problematiche che attanagliano l'odierna classe forense. A volte le scienze politiche e le scienze giuridiche si sovrappongono, anche perché nella nostra tradizione accademica le prime sono sempre state legate alle seconde (pensiamo che finché sono esitite le facoltà, cioè sino a ieri mattina, ancora in alcuni atenei, come Camerino e la Parthenope, i corsi di laurea in Scienze politiche e in Scienze dell'amministrazione erano attivi presso facoltà di Giurisprudenza; addirittura alla Marconi, pur essendoci una facoltà di Scienze politiche, Scienze dell'amministrazione era sotto Giurisprudenza, e parliamo di un ateneo di recentissima istituzione).

                come quello di Giurisprudenza, che, a mio modesto parere, dovrebbe stare di più al passo con i cambiamenti che avvengono in seno alla società.
                Guarda che a Giurisprudenza si studiano il diritto vivo, che subisce modifiche in continuazione, e la sua intepretazione in dottrina e giurisprudenza, che si evolve nel tempo. Anzi, uno dei limiti è proprio la relativamente scarsa attenzione che per motivi di tempo e di spazio si è costretti a dare all'evoluzione degli istituti giuridici; ad esempio gli studenti di oggi mica sanno come si è arrivati alla liberalizzazione dei mercati di energia, telecomunicazioni e trasporti e che l'Italia negli anni '90 era più simile a un regime socialista dell'Europa orientale che non a uno stato liberale. Anche questi sono temi di particolare interesse per il politologo, ma non è che per il giurista siano inutili; semplicemente servono per finalità diverse. Al politologo è demandato il cómpito di analizzare l'impatto delle norme sulla società e valutare le politiche: questi deve per forza avere una visione a ritroso di lungo periodo anche per poter apprezzare tutta quella proposta politica inconsapevolmente di ritorno (io per esempio mi diverto ad analizzare tutti quei programmi che propongono cose già fatte, e che si sono rivelate dei fallimenti, come fossero delle grandi novità rivoluzionarie). Al giurista capire come si è evoluto l'ordinamento serve per comprendere l'efficacia delle riforme rispetto agli obiettivi prefissati dal legislatore, la compatibilità delle stesse con i principî dell'ordinamento etc..
                I corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza non sono obsoleti; semplicemente sono asseritamente finalizzati a formare avvocati, magistrati e notai (peraltro questi ultimi a mio avviso potrebbero beneficiare una formazione ad hoc), senza tenere minimamente in conto dell'esigenza della società di avere persone con competenze giuridiche da poter spendere al di fuori delle sedi contenziose o, perlomeno, al di fuori delle sedi contenziose giurisdizionali. Il loro limite è questo. Tuttavia, come accennato, in Italia abbiamo anche un tessuto produttivo ancorato al passato, sicché anche l'impresa, compresa quella grande (anzi, solo la media e la grande, perché mica le piccole e le micro si possono permettere il lusso di avere risorse interne che si occupino di certe cose, di cui del resto nemmeno hanno bisogno stabilmente), per le proprie esigenze al riguardo cerca laureati tradizionali e possibilmente anche abilitati alla professione di avvocato. D'altro canto, i corsi di laurea in Scienze dei servizi giuridici sono più volti alla formazione, se non di consulenti del lavoro (liberi professionisti), di funzionari della PA, e le lauree magistrali in Scienze giuridiche sono misconosciute (e non molto diverse dalle LM-63 se non fosse per l'assenza dell'ingombrante aggettivo "pubblico").
                A mio avviso la laurea magistrale a ciclo unico andrebbe abolita. Dovrebbe essere mantenuta un'unica classe di primo ciclo, denominata Diritto o Scienze giuridiche, dopodiché dovrebbe essere previsto un master a numero chiuso in discipline forensi (con valore di esame di Stato per la diretta abilitazione alla professione di avvocato e che consenta l'accesso al concorso per la carriera di magistrato), più o meno come in Spagna. Chi vuole fare il notaio dovrebbe poter accedere al praticantato con la sola laurea e poi poter accedere al concorso notarile. Chi invece vuole lavorare nell'impresa potrebbe fermarsi oppure continuare con percorsi di secondo ciclo dedicati. Le discipline utili solo per la formazione dell'avvocato e del magistrato dovrebbero essere traslate nel master di cui sopra.

                ho trovato francamente assurdo che in alcuni atenei si studi ancora il Diritto ecclesiastico.
                La classe LMG/01 è una classe a contenuto fortemente vincolato: 216 crediti su 300 sono fissati per decreto ministeriale e negli 84 crediti riservati all'autonomia dell'università sono compresi i crediti a scelta dello studente, i crediti relativi alla prova finale e alla idoneità in almeno una lingua straniera. Per farti capire la differenza, sappi che di norma nelle classi di laurea i crediti vincolati sono 90, pari al 50%, e nelle classi di laurea magistrale 45, pari al 37.5%. In proporzione per la LMG/01 dovrebbero essere 135, pari al 45%, e invece sono 216, pari al 72%.
                Quanto sopra per farti osservare che certe scelte non dipendono dal singolo ateneo.
                Tanto premesso, sebbene non sia obbligatorio (la tabella di classe prevede 18 crediti complessivi tra IUS/08, IUS/09 e IUS/11: e non sarebbero obbligatorî nemmeno IUS/08 e IUS/09, ma hai mai visto un ateneo che non li abbia?), tutti gli atenei prevedono un esame, di solito da 6 crediti, afferente al settore IUS/11, Diritto canonico e diritto ecclesiastico. In almeno metà delle sedi è possibile scegliere tra Diritto canonico e Diritto ecclesiastico, in molte altre c'è solo Diritto ecclesiastico, in qualcuna ci sono insegnamenti innovativi del tipo Diritto delle religioni.
                Dal fatto che tu utilizzi l'avverbio "ancora", come se il diritto ecclesiastico fosse un qualcosa di desueto, deduco che tu non sappia cosa è il diritto ecclesiastico. Allora faccio un breve riassunto perché la confusione al riguardo tra i non giuristi regna sovrana:
                • DIRITTO ECCLESIASTICO. È quella branca del diritto interno di un singolo stato che riguarda i rapporti tra questo stato e la Chiesa (cattolica, anglicana, ortodossa etc.) o, in generale, le organizzazioni religiose. In molti ordinamenti giuridici occidentali (in Europa l'esempio più noto è quello del Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, in cui il sovrano è anche capo della Chiesa, e la Democrazia ellenica, in cui la Chiesa ha personalità giuridica di diritto pubblico) la Chiesa è parte dello Stato e dunque non si tratta nemmeno di studiare i rapporti tra Stato e Chiesa, ma parliamo di una vera e propria branca del diritto pubblico interno. In altri stati, come il nostro (che politicamente si suol dire laico, anche se questo aggettivo giuridicamente non ha un gran signfiicato; del resto, laico tecnicamente significa non appartenente al clero, mentre nel dibattito politico viene usato in accezione differente), la Chiesa non è parte dello Stato. Nello specifico in Italia lo Stato riconosce, per principio costituzionale, la Chiesa cattolica romana come indipendente e sovrana per quanto concerne il proprio ordine e i rapporti tra le due entità sono regolati dai Patti lateranensi, che costituiscono una fonte del diritto internazionale di natura pattizia. Tali patti riconoscono anche lo Stato della Città del Vaticano, cioè quella porzione di territorio romano non incorporata nello Stato italiano su cui la Santa sede esercita, al fine precipuo di mantenere e garantire l'indipendenza della Chiesa, la propria sovranità. Qui viene il primo problema giuridico, oggetto di ricerca da tanti anni: lo Stato della Città del Vaticano è un residuo dello Stato pontificio oppure è un nuovo stato? Il suo territorio ha mai fatto parte dell'Italia? Di sicuro la Santa sede, che ne è il governo, non ha mai cessato di esercitare le proprie funzioni e ha sempre intrattenuto relazioni diplomatiche con quasi tutti gli stati del mondo tranne che con il Regno di Sardegna, divenuto Regno d'Italia, dalla presa di Roma (breccia di porta Pia, 1870) alla fine della questione romana (Patti lateranensi, 1929). Tutt'oggi gli altri stati sovrani, non l'Italia, di solito riconoscono la Santa sede, non lo Stato della Città del Vaticano. Il diritto ecclesiastico italiano, inoltre, studia i rapporti tra le altre confessioni religiose, e le organizzazioni che le rappresentano, e l'Italia. Il matrimonio concordatario è un'istituzione studiata dal diritto ecclesiastico. A cosa serve studiare questo diritto è autoevidente.
                • DIRITTO CANONICO. È il diritto della Chiesa cattolica, che si applica ai battezzati. Esso si distingue in diritto canonico occidentale e diritto canonico orientale; quest'ultimo si applica alle chiese cattoliche orientali, chiese sui iuris da non confondersi con le chiese ortodosse, copte e bizantine, con le quali condividono riti, liturgia, disciplina e perfino parte della teologia ma non la comunione, essendo in piena comunione con la Chiesa di Roma e dunque con il papato. Esse derivano da quelle chiese scismatiche riconvertitesi al cattolicesimo e dunque dette «uniati»; ne esistono anche nell'ex Regno di Napoli, nelle comunità ellenofone e arbërëshë di Puglia e Calabria. Parallelamente, alcune comunità ecclesiastiche nordamericane di rito latino, dunque cattolico, sono in comunione con il patriarcato di Antiochia e non con la Chiesa cattolica: queste nella Chiesa ortodossa sono dette chiese ortodosse di rito occidentale. Studiare il diritto canonico serve per quegli avvocati interessati a patrocinare cause di nullità matrimoniale. Dunque non serve a niente perché tanto per diventare canonisti bisogna conseguire titoli di studio rilasciati o da università pontificie o da università a tal fine convenzionate (Urbino, Cattolica e Lumsa).
                • DIRITTO PONTIFICIO (o vaticano). È il diritto dello Stato della Città del Vaticano (e del preesistente – o precedente, per chi lo considera suo antesignano ma non in diretta continuità con esso – Stato pontificio) ed è a tutti gli effetti un ordinamento giuridico estero.

                ​​​​​​D'altra parte, in un Paese che conta circa 240.000 avvocati...
                Detta così non significa niente perché il numero assoluto, no nrapportato alla popolazione, vuol dir poco. Comunque gli avvocati sono sempre meno e a questo ritmo tra dieci anni e forse anche meno ci sarà un po' di mercato per i giovani.

                dovrebbe rientrare in regime il blocco delle assunzioni circa la Pubblica Amministrazione. Non so quale sarà la situazione tra qualche anno, ma poco importa giacché suppongo che vi sarà sempre qualche concorso in una qualche parte d'Italia.
                Il blocco delle assunzioni è stato notevolmente allentato, di fatto sospeso, dall'articolo 3 della legge 56/2019 per una durata di 3 anni. A causa della CoViD-19, con il decreto milleproroghe 2021 la sospensione del blocco è stata prorogata di un altro anno e dunque è vigente sino alla fine del 2023, fermo restando che i concorsi in svolgimento o perlomeno oggetto di programmazione formale nel 2023 potranno essere espletati anche successivamente. A questo devi aggiungere i posti creati col PNRR, che (come ampiamente prevedibile) anche se a tempo determinato sono soggetti a stabilizzazione (peraltro ora hanno fatto, temerariamente, anche quelli a tempo indeterminato), dunque è ragionevole pensare che sino al 2025 ci saranno ancora molti posti.
                Il ragionamento «ma poco importa giacché suppongo che vi sarà sempre qualche concorso in una qualche parte d'Italia» è invece sbagliato. Quando sono entrato io nella PA eravamo in pieno periodo di blocco e le amministrazioni a causa dei vincoli assunzionali potevano assumere mediamente 1 (un) lavoratore per ogni 5 (cinque) cessati. I concorsi che vinsi io erano da 4 (quattro) posti, mica da 400 o da 4000 come quelli di adesso. A uno arrivai quarto, all'altro primo alle prove scritte con oltre 7 punti di distacco dal secondo (poi all'orale tentarono di farmi fuori in tutti i modi dato che c'erano dei raccomandati di ferro, ma pur mettendomi il minimo ho vinto lo stesso, arrivando quarto). Erano concorsi da 2 (due) prove scritte da 6 (sei) ore ciascuna più l'orale ed eventuale preselettiva, mica semplificati come quelli che stanno uscendo adesso.

                Scienze politiche è una laurea vergognosamente bistrattata, e non ne capisco il motivo. In Francia, al contrario, è una laurea ben considerata. Sarà perché i francesi, per motivi storici, sanno meglio di altri che cosa vuol dire amministrare per bene l'État.
                In Francia è la laurea più prestigiosa. Va detto che la laurea in Scienze politiche francese è fortemente sbilanciata sul diritto e somiglia più alla nostra Scienze dell'ammistrazione (che del resto deriva dall'indirizzo politico-amministrativo di Scienze politiche).

                ​​
                ​​​Sì, ho verificato che molti corsi di studio L-16 e L-36 inglobano anche Statistica, che però io, non essendo niente affatto avvezzo alla matematica, personalmente eviterei.
                Da adolescente facevo lo stesso ragionamento, poi ho conseguito perfino una laurea magistrale in Scienze economico-aziendali. La statistica, oltre che una disciplina affascinante, nelle scienze sociali (diritto compreso! Sapessi come è interessante la giurimetria!) è uno strumento, dunque una materia complementare, non di base. Comprendere l'economia, la scienza politica, la sociologia etc. non richiede in re ipsa primeggiare in matematica o possedere competenze statistiche avanzate, ma fare ricerca in economia, analizzare i risultati delle politiche pubbliche, studiare le opinioni, comprendere l'incidenza del fenomeno criminoso sulla società sono tutte cose che richiedono la padronanza di strumenti statistici. Dopodiché per fare i calcoli si usa il computer. Quindi ti assicuro che sforzarsi un po' per superare i pochi esami quantitativi ne vale la pena e ripaga tantissimo. Pensaci.

                Vivo in Terra di Lavoro. Ho già scartato la Federico II, che per quanto abbia una lunga e straordinaria tradizione giuridica, nondimeno mi dicono che sia in una fase di declino e che sopravvive nell'immaginario collettivo quale università d'eccellenza soprattutto grazie ai fasti di un tempo.
                Sopravvive quale università d'eccellenza nell'immaginario collettivo dei suoi studenti (nemmeno tutti), di alcuni dei suoi docenti e delle persone che risiedono nel raggio di un centinaio di chilometri da Napoli, specie le più fanatiche (per non parlare degli sciovinisti del regno che fu). Sicuramente mantiene ancora delle sacche di eccellenza, ma non in àmbito giuridico e men che men politologico. Però a Napoli c'è anche la Parthenope, che tu non hai proprio preso in considerazione e che invece è un'ottima università e propone nella propria offerta formativa una L-16 molto interessante.

                La Vanvitelli non mi attrae particolarmente, ivi inclusa proprio l'offerta didattica.
                La Vanvitelli offre tra ordinari e straordinari (ma accessibili a tutti) ben 14 appelli in un anno, cosa da non sottovalutare.
                BA Media & journalism BS Administration MPA Management & e-governance MBA General management LLM Law MA Political science MA Business and public communication PhD candidate

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                • #9
                  Originariamente inviato da dottore Visualizza il messaggio
                  Lo studio del diritto romano è indispensabile per comprendere come si è arrivati alla biforcazione tra civil law (diritto positivo continentale) e common law (diritto consuetudinario anglosassone), il che è indispensabile se si vuole operare in contesti internazionali.
                  Lungi da me disconoscere l'importanza del Diritto romano e del suo studio; banalmente, e forse sbagliando, ne critico un fin troppo ampio spazio ad esso riservato, e ciò vale anche e soprattutto per Diritto medievale e Diritto ecclesiastico; un'anacronistica supremazia che va a discapito anche di qualcosa di più pratico e meno teorico. Ho comunque trovato piacevole una lezione del professor Rainer sul Giusromanismo, così come qualche lezione del professor Diliberto. Invece, altre letture sul Giusromanismo le ho trovate alquanto ampollose. Comunque, resto dell'opinione che bisognerebbe dare una sforbiciata a qualche esame inutile per riservare più tempo al praticantato.


                  Il ragionamento «ma poco importa giacché suppongo che vi sarà sempre qualche concorso in una qualche parte d'Italia» è invece sbagliato.
                  Intendevo esprimere che non trascurerei quei concorsi indetti da qualche ente in un qualche posto più o meno remoto e stigmatizzato dai più. Per esempio: un ente dell'entroterra irpino indisce un concorso per avere a sua disposizione un paio di funzionari. Sappiamo che in tanti evitano di partecipare a simili concorsi per evitare di andare poi a vivere stabilmente in un posto di non massimo apprezzamento. Qualcuno, però, d'altro canto sostiene che l'odiosa cultura della raccomandazione raggiunge il parossismo proprio nei comuni più piccoli.


                  ​​
                  Da adolescente facevo lo stesso ragionamento, poi ho conseguito perfino una laurea magistrale in Scienze economico-aziendali. La statistica, oltre che una disciplina affascinante, nelle scienze sociali (diritto compreso! Sapessi come è interessante la giurimetria!) è uno strumento, dunque una materia complementare, non di base. Comprendere l'economia, la scienza politica, la sociologia etc. non richiede in re ipsa primeggiare in matematica o possedere competenze statistiche avanzate, ma fare ricerca in economia, analizzare i risultati delle politiche pubbliche, studiare le opinioni, comprendere l'incidenza del fenomeno criminoso sulla società sono tutte cose che richiedono la padronanza di strumenti statistici. Dopodiché per fare i calcoli si usa il computer. Quindi ti assicuro che sforzarsi un po' per superare i pochi esami quantitativi ne vale la pena e ripaga tantissimo. Pensaci.
                  Sarebbe, insomma, un azzardo, ma ci penserò.
                  All'UniMol, al primo anno della L-16 (interdipartimentale tra il dipartimento giuridico e quello economico) vi è un esame di Statistica e demografia (SECS-S/01 + SEC-S/04) da 9 CFU.
                  Ed in occasione della 'Giornata della matricola', viene somministrato un test di orientamento (non vincolante per l'accesso al corso) che prevede anche un test logico-matematico che verte su:
                  - rappresentazione di una retta in un sistema di assi cartesiani;
                  - risoluzione di un'equazione di primo grado;
                  - risoluzione di un sistema di equazioni di primo grado;
                  - calcolo della derivata di una funzione di primo grado

                  Ammetto di essere a digiuno o quasi di queste... conoscenze. Pensi che sia fattibile colmare le lacune nel brevissimo periodo, caro Dottore?

                  Alla Vanvitelli, comunque, al secondo anno della L-16/L-36 ci dovrebbe essere un esame di Statistica da 9 CFU.


                  Sopravvive quale università d'eccellenza nell'immaginario collettivo dei suoi studenti (nemmeno tutti), di alcuni dei suoi docenti e delle persone che risiedono nel raggio di un centinaio di chilometri da Napoli, specie le più fanatiche (per non parlare degli sciovinisti del regno che fu). Sicuramente mantiene ancora delle sacche di eccellenza, ma non in àmbito giuridico e men che men politologico.
                  Ah, non sapevo che nel pantheon dei Neoborbonici vi fosse, oltre ad un famoso bidet che è nella Reggia di Caserta, anche l'UniNa ​​​​​​​

                  Però a Napoli c'è anche la Parthenope, che tu non hai proprio preso in considerazione e che invece è un'ottima università e propone nella propria offerta formativa una L-16 molto interessante.
                  In verità, l'ho presa in considerazione, anche se non qui. Tale università ha il vantaggio di avere un'ampia No Tax Area (fino a 28.000€, se non erro), ponendosi ad un livello superiore, in termini di accessibilità economica, rispetto alla Vanvitelli, che alcuni studenti hanno lamentato essere un ateneo piuttosto costoso oltre i limiti dell'esenzione. Che sia vero o meno, non lo so. Comunque sia, nel piano di studi della L-16 della Parthenope, durante il primo anno (Percorso comune) vi sono questi due esami: METODI QUANTITATIVI PER L'ANALISI ECONOMICA MOD. I e MOD II (SECS-S/06 e SECS-S/01), ambedue da 5 CFU. Poi, all'ultimo anno, indipendentemente dal percorso scelto, vi è un esame di SECS-S/03 da 6 CFU.

                  Sì, come hai scritto tu, propongono un'offerta formativa L-16 piuttosto interessante, ma la mia problematica resta la medesima: il timore che questo CdL possa rivelarsi un azzardo rischioso per le mie nulle conoscenze nel campo delle statistica e dei metodi quantitativi (che francamente non so neppure cosa siano). Inoltre, è da valutare il costo della vita della città di Napoli, perché ho intenzione di stabilirmi come fuori sede.


                  La Vanvitelli offre tra ordinari e straordinari (ma accessibili a tutti) ben 14 appelli in un anno, cosa da non sottovalutare.
                  Tu come ti sei trovato alla Vanvitelli?

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                  • #10
                    Dico solo una cosa senza volermi addentrare nel merito della conversazione, dato che non ho interesse a seguirla.
                    Vorrei fare una precisazione: la figura del giurista d'impresa non esiste. Viene menzionata soprattutto da atenei come la LUISS per il corso di laurea in Giurisprudenza, rivolgendosi a studenti che stanno finendo le scuole superiori, in bellissimi opuscoli informativi (i classici che collezioniamo tutti quando dobbiamo iscriverci per la prima volta all'università), e a vedere adesso il sito ho notato che questa cosa tendono ad evidenziarla di meno, a parer mio cercando di dare l'impressione che il corso di laurea sia più ad ampio respiro, ergo un corso di laurea più tradizionale in Giurisprudenza.

                    Esiste solamente l'avvocato esperto in diritto commerciale, fermo restando che la cosa di norma si declina in vari modi - da quello che si occupa di fusioni ed acquisizioni, a quello che si occupa di diritto della concorrenza, a chi si occupa di contenzioso, a chi di bancario, a chi di contrattualistica, a chi di diritto amministrativo per le imprese e via dicendo. Ci sono le cosiddette "law firms", composte per lo più da schiavi a tutti gli effetti, in cui chi guadagna veramente sono i pochi partner, forse qualche associato in alto nella gerarchia; e poi le "botique" che sono studi legali piccoli specializzati in qualche branca molto settoriale del diritto commerciale. Gli studi legali classici a cui noi siamo abituati in Italia, simil bottega, nemmeno li menziono, nel senso che quelli sappiamo tutti che sono a conduzione familiare e godono di un prestigio che si tramandano di padre in figlio, e tendono ad occuparsi in via generale di diritto civile (infatti le grandi imprese o multinazionali non si rivolgono mai a loro, al massimo quelle ubicate in realtà di provincia per sbrigare qualche problema).
                    Chiaro che in entrambi i casi (law firms o botique) si tratti di ambienti in cui sanno l'inglese come l'italiano, e sono tutti avvocati. Persone laureate in Giurisprudenza senza l'abilitazione o in Scienze dei servizi giuridici non ce ne sono, o al massimo stanno alla segreteria o in altre posizioni subordinate simili, come se fossero non laureate. Non c'è nessun "giurista d'impresa", se non nell'accezione che ho appena detto, ossia avvocati esperto in diritto commerciale, e per diventare tale sappiamo tutti che tocca farsi cinque anni di Giurisprudenza in cui la stragrande maggioranza va fuori corso di almeno un anno o due, un anno e mezzo di praticantato ed un esame di avvocato che allo stato attuale è un terno al lotto, ergo anni di studio intenso (personalmente non ho molta ammirazione per chi si laurea in Giurisprudenza, ma sarebbe mancanza di onestà intellettuale dire che non sia un percorso comunque stancante ed impegnativo, specie in alcune sedi).
                    Adesso, fermo restando che qui in questo forum spesso si ragiona davvero troppo per classi di laurea pure per il lavoro nel privato, per quanto sicuramente esse determino il valore legale (dico questo perché spesso viene proposta come manna dal cielo la LM-77 Scienze economico-aziendali, quando magari il corso si occupa, anche come nome, solo ed esclusivamente di marketing), io una L-14 Scienze dei servizi giuridici non la considererei mai e dico mai in termini aprioristici, nel senso che serve solamente se si vogliono fare i concorsi oppure se si vuole proseguire con Giurisprudenza e farsi altri due anni.
                    A questo punto, a parità di classe, pure L-16 Scienze dell'amministrazione o L-36 Scienze politiche sono meglio, perché se i piani di studio son seri, e la cosa non è per niente scontata, se non vuoi fare i concorsi quanto meno puoi "riciclarti" in qualche corso di laurea magistrale economico, e permettimi pure di dire (ma qua il discorso è personale) che son pure corsi di studio un po' meno aridi, nel senso che in genere hanno esami più interessanti per il singolo, forse anche perché sono corsi di laurea in chiave multidisciplinare.

                    Poi onestamente, parliamo pure dell'Università del Molise, che magari ha tutta la dignità del mondo e sono sicuro che se hai un problema te lo risolvono al volo dato che gli iscritti sono quattro gatti, ma a meno che tu non ti trovi dalle parti di Campobasso, io eviterei proprio. Non so quali siano i tuoi interessi o le tue ambizioni, ma nel caso io mi muoverei verso un altro ateneo che, almeno sulla carta, risulti un pochino più altisonante; poi se a te interessano solo ed esclusivamente i concorsi, allora è un altro paio di maniche.

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                    • #11
                      io una L-14 Scienze dei servizi giuridici non la considererei mai e dico mai in termini aprioristici, nel senso che serve solamente se si vogliono fare i concorsi
                      A me occorrerebbe, appunto, prettamente per quello. È una validissima laurea per accedere a tanti concorsi pubblici.



                      A questo punto, a parità di classe, pure L-16 Scienze dell'amministrazione o L-36 Scienze politiche sono meglio, perché se i piani di studio son seri, e la cosa non è per niente scontata, se non vuoi fare i concorsi quanto meno puoi "riciclarti" in qualche corso di laurea magistrale economico, e permettimi pure di dire (ma qua il discorso è personale) che son pure corsi di studio un po' meno aridi, nel senso che in genere hanno esami più interessanti per il singolo, forse anche perché sono corsi di laurea in chiave multidisciplinare.
                      Sì, sono CdL più variegati, ma ho già spiegato che sono completamente o quasi a digiuno di statistica, metodi quantitativi e quant'altro. Sarebbe una scelta azzardata, almeno per quanto concerne questa parte. E non mi andrebbe di rischiare. Vorrei andare sul sicuro, cioè impegnarmi per un risultato che sarei certo di poter conseguire senza difficoltà astronomiche, anziché immatricolarmi ad un altro CdL con il rischio incombente di perderci dietro più anni del dovuto.

                      Poi onestamente, parliamo pure dell'Università del Molise, che magari ha tutta la dignità del mondo e sono sicuro che se hai un problema te lo risolvono al volo dato che gli iscritti sono quattro gatti, ma a meno che tu non ti trovi dalle parti di Campobasso, io eviterei proprio. Non so quali siano i tuoi interessi o le tue ambizioni, ma nel caso io mi muoverei verso un altro ateneo che, almeno sulla carta, risulti un pochino più altisonante; poi se a te interessano solo ed esclusivamente i concorsi, allora è un altro paio di maniche.
                      L'Università degli Studi del Molise ha circa 8.000 studenti ed attrae non pochi studenti da altre regioni meridionali, anche dalla Campania (soprattutto dal Sannio) e dalla Puglia (soprattutto dalla Capitanata), dove le università di certo non mancano. Preferisco stigmatizzare i pregiudizi nei confronti dei piccoli atenei. Tu parli di atenei altisonanti. Qui in Campania "ateneo altisonante" = Federico II di Napoli. Che non m'interessa.

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                      • #12
                        Originariamente inviato da Rollercoaster_7 Visualizza il messaggio
                        Sì, sono CdL più variegati, ma ho già spiegato che sono completamente o quasi a digiuno di statistica, metodi quantitativi e quant'altro. Sarebbe una scelta azzardata, almeno per quanto concerne questa parte. E non mi andrebbe di rischiare. Vorrei andare sul sicuro, cioè impegnarmi per un risultato che sono certo di poter conseguire senza difficoltà astronomiche, anziché immatricolarmi ad un altro CdL con il rischio incombente di perderci dietro più anni del dovuto.
                        Di statistica è a digiuno chiunque uscito dalle scuole superiori in Italia, casomai non hai dimestichezza con la matematica, anche se può essere che qualcosa di statistica hai fatto se sei uscito da un istituto tecnico commerciale.
                        Io ho avuto problemi con l'esame di statistica, ma non perché di per sé io abbia problemi con la matematica (ahimè, fatta davvero poco e male durante il liceo), ma perché il docente dava letteralmente tutto per scontato, e infatti chiunque abbia sostenuto quell'esame è andato di ripetizioni private, e c'è pure chi non lo ammette. Io ho dovuto fare l'intero programma con le ripetizioni, spendendo centinaia di euro.
                        Il punto è che comunque si tratta di un solo esame nell'intero corso di laurea - e almeno una o due bestie nere ce li hai in qualsiasi corso di laurea serio. Tutto il resto del corso è qualitativo, forse giusto l'esame di economia politica e nel caso un ulteriore esame economico (la norma in un L-36 è metterne uno di statistica e due economici, di cui uno è economia politica). Comunque ci sono diverse sedi in cui statistica non c'è, purtroppo; mi viene in mente Genova, ad esempio. Ma a te, giustamente, non interessa di cercarti un'università dall'altra parte d'Italia.
                        L'Università degli Studi del Molise ha circa 8.000 studenti ed attrae non pochi studenti da altre regioni meridionali, anche dalla Campania (soprattutto dal Sannio) e dalla Puglia (soprattutto dalla Capitanata), dove le università di certo non mancano. Preferisco stigmatizzare i pregiudizi nei confronti dei piccoli atenei. Tu parli di atenei altisonanti. Qui in Campania "ateneo altisonante" = Federico II di Napoli. Che non m'interessa.
                        Ma infatti non ho dubbi che l'Università del Molise sia un buon ateneo, sicuramente a misura d'uomo rispetto ad atenei mastodontici come la Federico II o la Sapienza, che secondo me godono di un ingiustificato prestigio solo tra gli ignoranti che non hanno mai messo il naso fuori dalla propria regione o tra le persone di una certa età. Per come la vedo io, sono atenei da evitare come la peste. Dicevo solamente che ci sono altri atenei piccoli ma meglio considerati, così come di dimensioni medie (altrettanto organizzati e con buona nomea) che fanno più bella figura sul CV rispetto all'Università del Molise. Se abiti in Campania, secondo me avresti altre opzioni migliori da poter valutare.

                        Comunque ho letto solo dopo che hai 24 anni. Se a te piace, vuoi un pezzo di carta per i concorsi, presumo che hai fretta di sbrigarti dunque non ti interessa di prenderti una magistrale, allora va benissimo, e a vedere il piano di studi è tutto sommato un corso facile perché i vari diritti sono tutti "edulcorati", a occhio non vedo né esami di diritto commerciale, né esami di diritto penale, né procedure (che spesso si trovano nelle L-14, anche se non hanno motivo di esserci).
                        Un titolo del genere però, secondo me, nel privato non serve a niente, o tutt'al più faresti lavori che faresti anche senza laurea. Nel pubblico, non c'è problema.

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                        • #13
                          Originariamente inviato da Rollercoaster_7 Visualizza il messaggio
                          Lungi da me disconoscere l'importanza del Diritto romano e del suo studio; banalmente, e forse sbagliando, ne critico un fin troppo ampio spazio ad esso riservato, e ciò vale anche e soprattutto per Diritto medievale e Diritto ecclesiastico
                          Scusami ma io non ti seguo. Il diritto medievale come disciplina autonoma non è presente da nessuna parte se non in pochissime sedi come esame a scelta. Tra il settore romansitico e il settore storico-giuridico (IUS/18 e IUS/19) i crediti sono complessivamente appena 28, meno del 10% del totale, mentre il diritto ecclesiastico quasi dappertutto è offerto in alternativa al diritto canonico come singolo esame da 6 crediti. Dove sarebbe questo spazio eccessivo io non lo so. Ti ho peraltro spiegato che il diritto ecclesiastico è una disciplina fondamentale, importante perlomeno quanto il diritto amministrativo e il diritto commerciale, in quanto concerne i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose e dunque non è una cosa interna alla Chiesa cattolica o ai suoi fedeli (quello è il diritto canonico), ma un qualcosa che riguarda il diritto vivente che riguarda tutti noi, credenti e non credenti, giorno per giorno, attualissimo e per niente desueto (a differenza di quanto tu hai inferito laddove hai scritto «nientemeno ci sono università dove si studia ancora il diritto ecclesiastico», meravigliato e sbalordito come se fosse una cosa assurda). Casomai è bizzarro il fatto che un insegnamento di diritto ecclesiastico in molte sedi venga proposto in alternativa a quello di diritto canonico: il diritto ecclesiastico è una branca del diritto interno e dunque per me dovrebbe essere obbligatorio studiare questa, poi casomai il diritto canonico si potrebbe offrire come insegnamento a scelta libera (o a scelta vincolata in una rosa di opzioni separata rispetto a quella del diritto ecclesiastico). D'altro canto, per fare l'avvocato canonista è comunque necessario conseguire un dottorato in Iure canonico o in Utroque iure in una istituzione accademica pontificia o riconosciuta dalla Chiesa cattolica e/o dallo Stato della Città del Vaticano, sicché l'esame di diritto canonico se non per cultura generale è inutile.

                          Prima che tu mi demolisca anche la filosofia del diritto, non ti dico quanto è utile una corretta formazione filosofica ai fini della ricerca giuridica. Io mi occupo di diritto dell'intelligenza artificiale, àmbito di indagine che mi porta inevitabilmente a interrogarmi sulla teoria generale del diritto, poiché parliamo di un fenomeno nuovo e dunque bisogna capire tutta una serie di cose prima di poter capire perché regolamentarlo e come. Ricorda sempre che la prima funzione dell'università è quella di formare alla ricerca scientfica e non di sfornare tecnico-pratici con competenze ma privi di conoscenze.

                          Intendevo esprimere che non trascurerei quei concorsi indetti da qualche ente in un qualche posto più o meno remoto e stigmatizzato dai più. Per esempio: un ente dell'entroterra irpino indisce
                          Indìce

                          un concorso per avere a sua disposizione un paio di funzionari.
                          Fa' attenzione a quei comuni. I comuni con meno di 40mila abitanti (che potrebbero corrispondere in teoria a 400 dipendenti, ma a causa di vent'anni di blocco delle assunzione fa' conto che comuni come Monza, Sesto San Giovanni, Casoria, Afragola, Molfetta, Pozzuoli, Castellammare di Stabia, Torre del Greco a stento arrivano a questa dotazione organica; Giugliano in Campania, che supera i 100mila abitanti, addirittura è sotto i 250) non hanno di norma dirigenza di ruolo e dunqe i loro funzionari esercitano i poteri dirigenziali, ma con lo stipendio da funzionari. I comuni di poche migliaia o addirittura poche centinaia di abitanti, come quelli dell'entroterra irpino, spesso non hanno neanche funzionari!

                          Sappiamo che in tanti evitano di partecipare a simili concorsi per evitare di andare poi a vivere stabilmente in un posto di non massimo apprezzamento. Qualcuno, però, d'altro canto sostiene che l'odiosa cultura della raccomandazione raggiunge il parossismo proprio nei comuni più piccoli.
                          Più che altro nei piccoli comuni viene guardato con sospetto chi viene da fuori, ma credimi se ti dico che certe dinamiche sono più da piccolo ente che da piccolo comune. Chiaramente nel caso dei comuni le due cose coincidono, ma se parliamo di enti non territoriali ci sono piccoli e piccolissimi enti (ove per piccolissimi intendo con meno di 50 dipendenti: in alcuni casi anche meno di 10 e meno di 5) anche a Roma, Milano e Napoli.
                          Poi ci sono dei casi particolari: ad esempio a Capri e Anacapri càpita che certi concorsi vadano deserti; a livello locale infatti spesso mancano le risorse interessate (forse chi è andato a studiare all'università raramente torna sull'isola per trovare lavoro da dipendente, specie in una PA e anche i posti per diplomati per ovvie ragioni difficilmente suscitano l'interesse di indigeni) e quelli di fuori quando vedono i prezzi delle case sull'isola anche in inverno…

                          All'UniMol, al primo anno della L-16 (interdipartimentale tra il dipartimento giuridico e quello economico) vi è un esame di Statistica e demografia (SECS-S/01 + SEC-S/04) da 9 CFU.
                          Niente di trascendentale.

                          Ammetto di essere a digiuno o quasi di queste... conoscenze. Pensi che sia fattibile colmare le lacune nel brevissimo periodo, caro Dottore?
                          Se hai fatto il liceo classico perlomeno alle equazioni di primo grado (che si fanno alle medie, come pure gli assi cartesiani) dovresti essere arrivato. Devi recuperare solo lo studio di funzioni (che pure dovresti aver fatto). Non ci vuole chissà quale sforzo secondo me. Tra l'altro dubito che te lo chiedano all'esame di Statistica.

                          Alla Vanvitelli, comunque, al secondo anno della L-16/L-36 ci dovrebbe essere un esame di Statistica da 9 CFU.
                          Lo superano tutti. Fìdati.

                          Ah, non sapevo che nel pantheon dei Neoborbonici vi fosse, oltre ad un famoso bidet che è nella Reggia di Caserta, anche l'UniNa
                          Non parlavo dei neuroborbonici, comunque sicuramente se ne vantano anche loro. E non a torto. Il problema è che l'unica cosa che possono fare è celebrare i fasti che furono, perché oggi la Federico II è davvero in decadenza. E non sono certamente docenti con atteggiamenti baronali, dovuti magari solo ai cognomi che portano, che migliorano la qualità dell'ateneo.

                          In verità, l'ho presa in considerazione, anche se non qui. Tale università ha il vantaggio di avere un'ampia No Tax Area (fino a 28.000€, se non erro)
                          Colgo l'occasione per precisare che in inglese la tassa è fee e l'imposta è tax. La retta tuition fee. Ne deriva che la locuzione "no tax area" è in questo caso utilizzata in maniera impropria perché parliamo di tasse e non di imposte (tax è un false friend).

                          Che sia vero o meno, non lo so.
                          Si vede sul sito.

                          vi sono questi due esami: METODI QUANTITATIVI PER L'ANALISI ECONOMICA MOD. I e MOD II (SECS-S/06 e SECS-S/01)
                          Si tratta di due moduli dello stesso insegnamento integrato. Quando li vedi da meno di 6 crediti sono sempre così perché per normativa ministeriale ciascun esame di profitto non può avere un peso inferiore a tale soglia.

                          metodi quantitativi (che francamente non so neppure cosa siano).
                          Metodi di indagine basati sui numeri.

                          è da valutare il costo della vita della città di Napoli, perché ho intenzione di stabilirmi come fuori sede.
                          A 'sto punto meglio pagare di più all'università e stabilirsi a Caserta, ove i prezzi degli affitti sono più bassi. Inoltre Caserta è una cittadina a misura d'uomo (70mila abitanti scarsi compresa una dozzina di frazioni).

                          Tu come ti sei trovato alla Vanvitelli?
                          Benissimo. Si tratta dell'ateneo in cui mi sia trovato meglio tra tutti quelli cui sia stato iscritto.

                          Originariamente inviato da gnugno Visualizza il messaggio
                          la figura del giurista d'impresa non esiste. Viene menzionata soprattutto da atenei come la LUISS per il corso di laurea in Giurisprudenza, rivolgendosi a studenti che stanno finendo le scuole superiori, in bellissimi opuscoli informativi (i classici che collezioniamo tutti quando dobbiamo iscriverci per la prima volta all'università), e a vedere adesso il sito ho notato che questa cosa tendono ad evidenziarla di meno, a parer mio cercando di dare l'impressione che il corso di laurea sia più ad ampio respiro, ergo un corso di laurea più tradizionale in Giurisprudenza.
                          gnugno, stai ragionando in maniera molto italiana, cioè pensi che una professione esista solo nella misura in cui sia regolamentata e che una mansione esista sono nella misura in cui sia prevista dalla legge. L'avvocato è un libero professionista, mentre il giurista d'impresa è un dipendente (di solito quadro o dirigente) e dunque per definizione non può essere un avvocato. Molte delle attività che tu hai elencato, ivi compreso il contenzioso non giurisdizionale, non formano oggetto (perlomeno non oggetto esclusivo e cioè riservato) della professione di avvocato e vengono svolte sia da giuristi d'impresa (o esperti giuridici d'impresa o in qualsiasi modo denominato, dato che non si tratta di una professione regolamentata, ma per l'appunto non è l'assenza di regolamentazione voglia dire inesistenza) sia da liberi professioni esercenti professioni regolamentate sia di liberi professionisti ex l. 4/2013 nonché consulenti. Viepiù, l'Associazione italiana giuristi d'impresa è stata costituita nel 1976, dunque i giuristi d'impresa non solo esistono, ma hanno anche una lunga storia.
                          Aggiungo che esistono o sono esistiti corsi di laurea, di solito di classe L-14 (o di vecchia classe 2), o loro curricula, denominati "Giurista d'impresa" o "Consulenza giuridica d'impresa" in eCampus, Marconi, Università di Genova, Università di Salerno, Università di Bologna e svariati altri atenei.
                          Più che altro, come già detto il problema è lo scarso o nullo appeal dei titoli rilasciati dai corsi di studio di cui sopra, poco conosciuti e soprattutto poco riconosciuti dalle imprese, che per la figura in parola, oltre a preferire laureati magistrali rispetto a laureati semplici, continuano a ricercare laureati magistrali in Giurisprudenza, poiché probabilmente l'ancoraggio di tali titoli a un corso di studio di tradizione consolidata, e dunque per loro immediatamente identificabile, li rassicura; infine, esse apprezzano anche l'abilitazione alla professione di avvocato, benché sappiano che un loro dipendente non potrà mai rappresentarle in giudizio, forse perché, come segnalato da Rollercoaster_7, nella nostra cultura litigiosa è difficile immaginare un'esigenza di competenze giuridiche slegate dal contenzioso (penso ad esempio in una grande impresa ICT di mia conoscenza, in cui ho lavorato da ragazzo, che potrebbe migliorare enormemente i processi produttivi e le relazioni con la clientela ingaggiando personale con competenze giuridiche in alcuni reparti, prevenendo gran parte del contenzioso e spendendo la metà di quello che spende adesso per affrontarlo e per cercare di abbatterlo attraverso l'ADR).

                          Esiste solamente l'avvocato esperto in diritto commerciale
                          Non c'entra niente l'avvocato esperto in diritto commerciale con il giurista d'impresa.

                          fermo restando che la cosa di norma si declina in vari modi - da quello che si occupa di fusioni ed acquisizioni, a quello che si occupa di diritto della concorrenza, a chi si occupa di contenzioso, a chi di bancario, a chi di contrattualistica, a chi di diritto amministrativo per le imprese e via dicendo.
                          Il diritto amministrativo e il diritto della concorrenza sono rami del diritto pubblico (il diritto della concorrenza è in parte diritto amministrativo e in parte diritto dell'economia, che poi sempre amministrativo). Il diritto bancario è più pubblico che commerciale (che è privato). Di fusioni e acquisizioni si occupano anche dottori e ragionieri commercialisti e consulenti vari; non sono attività riservate agli avvocati. Avvocato = chi rappresenta qualcuno in giudizio; il verbo avvocare significa proprio quello (chiamare a sé e infatti, per estensione, intercedere). Prestare una consulenza giuridica non significa essere avvocati. La maggior parte di coloro che redigono i contratti non sono neanche laureati in discipline giuridiche, se è per questo. Inoltre vi sono migliaia di lavoratori che in qualche modo hanno a che fare con il diritto, come per esempio pubblici funzionari (io sai quanti pareri giuridici ho redatto all'interno delle amministrazioni in cui ho lavorato molto prima che conseguissi la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza?).

                          Ci sono le cosiddette "law firms", composte per lo più da schiavi a tutti gli effetti, in cui chi guadagna veramente sono i pochi partner, forse qualche associato in alto nella gerarchia
                          Gerarchie illegali, ma non voglio spiegarlo in questa sede perché siamo clamorosamente off topic.

                          e poi le "botique" che sono studi legali piccoli specializzati in qualche branca molto settoriale del diritto commerciale.
                          Qui non stiamo parlando di avvocati.

                          Gli studi legali classici a cui noi siamo abituati in Italia, simil bottega, nemmeno li menziono, nel senso che quelli sappiamo tutti che sono a conduzione familiare
                          Non sono a conduzione familiare poiché la professione di avvocato è, per ordinamento, una professione individuale, come tutte le professioni liberali. Cioè è un lavoro autonomo, non un'attività d'impresa. Dunque non c'è nessuna «conduzione».
                          Comunque boutique si scrive con la u.

                          Persone laureate in Giurisprudenza senza l'abilitazione o in Scienze dei servizi giuridici non ce ne sono, o al massimo stanno alla segreteria
                          A parte che non è vero ‒ tanto per fare un esempio, c'è un famosissimo studio legale internazionale a Forlì che fa sia contenzioso sia consulenze per il commercio con l'estero e l'internazionalizzazione delle imprese, che non è attività riservata agli avvocati, in cui tra i consulenti ne opera uno laureato in Scienze internazionali e diplomatiche senza neanche la magistrale ‒ ripeto che stiamo parlando di giuristi d'impresa, non di avvocati né di gente che se lavora autonomamente lavora con avvocati.

                          in questo forum spesso si ragiona davvero troppo per classi di laurea
                          Tu ti riferisci rigidamente a professioni regolamentate e noi saremmo quelli che ragionano troppo per classi?




                          Ultima modifica di dottore; 14-08-2023, 02:24.
                          BA Media & journalism BS Administration MPA Management & e-governance MBA General management LLM Law MA Political science MA Business and public communication PhD candidate

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                          • #14
                            dottore se leggessi quello che dico in maniera molto meno restrittiva o come a te fa comodo, capiresti che tante di quelle cose che dico non vanno prese alla lettera, bensì faccio larga uso di modi di dire o espressione gergali essendo questo un forum. Penso che ci arriviamo tutti che gli studi legali non possono essere "a conduzione familiare" come un albergo (ma il senso di quello che io dico è chiaro come il sole per tutti), inoltre parlo francese quasi fluentemente, mi scuso tanto per la "u" in "boutique", evidentemente mi sarà sfuggita.
                            Ad ogni modo: i giuristi d'impresa non esistono, nel senso che esistono solo sulla carta. Non è che io ragiono in maniera italiana, io mi limito a dire come funzionano le cose, poi se tu sei d'accordo o meno puoi dire la tua (e qua in questa sede interessa poco), ma le cose non cambiano. Allo stato attuale chi fa consulenza giuridica alle imprese sono avvocati esperti in diritto commerciale, nelle varie declinazioni che io ho menzionato. La stragrande di questi, ossia quelli che non lavorano nel contenzioso, non vedono mai un'aula di tribunale.
                            Tra l'altro, tu stesso affermi che le imprese assumono personale abilitato alla professione forense per posizioni legali, penso non ci sia altro da aggiungere.

                            È per questo che io consiglio a Rollercoaster_7 di valutare altri corsi di laurea, per quanto poco spendibili, come L-36 Scienze politiche o L-16 Scienze dell'amministrazione, perché permettono di avere un titolo un po' più ad ampio respiro nel privato, anche perché le L-14 Scienze dei servizi giuridici sono pure corsi generalmente impegnativi (in quanto spesso tante università li attivano come "anticamera" per Giurisprudenza) e che infatti hanno scarsa attrattiva - dico "generalmente" perché dipende dalle sedi, ma un po' ovunque ci sta diritto penale, commerciale, una procedura.
                            Se poi a lui il corso menzionato piace, che a giudicare dal piano di studi è anche un corso che mi sembra molto tranquillo, ben venga, ma io mi limito a dirgli che è un corso che va bene solamente per i concorsi pubblici, e che forse una L-36 o una L-16 magari in un ateneo un po' più conosciuto possono essere migliori per avere un minimo di prospettive in più nel privato. Tutto qui.

                            Per quanto riguarda statistica, confermo che però è un esame difficile, e non è vero che "lo superano tutti". Io mi ero dovuto imparare a memoria (e ripeto, a memoria) circa trenta formule - che poi non si comprende il motivo per cui non sia possibile scriversi a mano le formule su un foglio o avere durante l'esame un foglio con le formule, dato che una volta fatto l'esame non te ne ricordi manco una. Bisogna essere precisissimi, perché basta davvero poco per sbagliare tutto.
                            C'è gente che rimanda la laurea solo per l'esame di statica, per dire, ma il fatto è che tanti partono prevenuti e se lo lasciano all'ultimo, e sbagliano di grosso. Il punto è che le bestie nere stanno ovunque: in una L-14 hai diritto privato (spesso presente pure a Scienze politiche, ma è per fare un esempio) o qualche esame rognoso come diritto penale, per dire. Non è che allora uno non si iscrive a Scienze politiche perché c'è un esame di statistica, scusa ma è un assurdo.
                            Per il resto, la scelta è sua, io ho detto come la penso.

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                            • #15
                              gnugno non sono espertissimo in merito, ma in tutte le realtà aziendali in cui ho lavorato c'era l'ufficio "legal" ed erano tutti laureati in giurisprudenza (solo alcuni erano avvocati abilitati). Erano inquadrati come "Legal Counsel"
                              Quando lavoravo in consulenza, la società era divisa in dipartimenti e in quello dedicato ai progetti legali "area Tax and Legal" c'erano tanti laureati in giurisprudenza e anche qualche avvocato.
                              Penso che per giuristi d'impresa si intendano proprio queste figure.




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